Tornando indietro al Capodanno 2020, pensiamo a un tempo molto vicino. Ma il mondo è radicalmente mutato, e non soltanto per la questione sanitaria di per sé. Le nuove normative internazionali in termini di ambiente e di decarbonizzazione sembravano temi dominanti, ma si sono ritrovati a essere ancillari a una cruda realtà dominata dall’intervento russo, dalla pandemia globale, da una rivoluzione del trasporto. I terminal portuali hanno visto trasformare la narrazione sul proprio conto. Da mere infrastrutture dedicate allo shipping, sono diventate basi di stoccaggio e smistamento in grado di dettare tempi e modi della consegna delle merci necessarie, ingranaggi sofisticati per la crescita o la stagnazione di intere aree geografiche.
Quanto è importante e come si determina la competitività di un terminal contemporaneo?
“Anche noi siamo stati investiti da una rivoluzione”, racconta Roberto Ferrari, Amministratore Delegato di PSA Genoa Investments. “E anche noi, come PSA, dobbiamo attivare un processo che vada verso l’automazione. Non sappiamo quanto ci vorrà, perché il cambiamento è strutturale e profondo. Ci saranno molti step intermedi, anche perché stiamo ancora lavorando con modelli tradizionali, mentre altri competitor internazionali sono già su un’operatività semi-automatica. Ma siamo già all’interno del processo”.
Se le sfide del futuro della logistica si combatteranno anche e soprattutto sugli investimenti, è bene sapere anche dove e come puntare le proprie intenzioni.
“Non possiamo non fare riferimento al territorio nel quale siamo inseriti, perché non basta digitalizzare solo un anello della catena. Tutti gli stakeholder dovranno evolversi, dovremo avere skill completamente differenti. Avremo bisogno di persone esperte di informatica, tecnici sull’Intelligenza Artificiale, esperti di automazione e robotica. Ma sarà necessario anche avere persone che gestiscono il processo, che sanno intervenire sulla macchina o sul software in caso di problemi. Tuttavia, le lacune nazionali in termini di queste specifiche occupazioni sono note, per cui dovremo formarle noi stessi”.
Ecco allora che la formazione diventa la base per la crescita futura, con al centro non la tecnologia, ma l’uomo.
“Stiamo lavorando a un programma di formazione in accordo con l’Accademia della Marina Mercantile di Genova per attivare corsi di formazione specifici, e faremo programmi per la riconversione del personale, per fare evolvere le loro competenze tecniche. Faremo una mappatura completa delle professionalità che abbiamo e che ci servono, per capire come riconvertire il personale senza tagliarlo fuori dal processo di sviluppo”, continua Ferrari.
La digitalizzazione è un pilastro su cui basare una lunga serie di processi produttivi che ieri (leggi: pre-pandemia) avevamo tutt’altro tipo di impianto.
“Tra Covid e guerra la velocità di trasformazione del processo digitale è aumentata notevolmente, difficile prevedere cosa succederà in futuro. Ma futuro inteso come dodici mesi, non decenni. La digitalizzazione però andrà a impattare notevolmente sulla supply chain, i processi saranno sempre più automatizzati e integrati. Le compagnie di navigazione nostre clienti hanno subito duri colpi durante la fase più acuta della pandemia, lasciando molti più contenitori nei terminal, facendo diminuire di conseguenza le capacità degli impianti. E oggi, nonostante sia passata anche la parte più delicata della congestione dei porti, viviamo di picchi e flessioni del lavoro. La resilienza o l’adattabilità del nostro settore è diventata sinonimo di strategia, questa è la vera sfida da qui al 2023. Come possiamo programmare gli arrivi delle navi quando non sappiamo ancora quali possano essere le decisioni in termini sanitari in Cina? O quanto impatterà realmente il conflitto in Ucraina?”.
Tutto appare cambiato, anche a fronte di un’opportunità storica come il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, varato neanche un anno fa.
“Il PNRR resta una grande opportunità, chiaramente, ma molti dei progetti presentati non sono prioritari. Tante idee sono state tirate fuori da cassetti impolverati, siamo sicuri che sia tutto utile anche nel mondo di oggi? Se ragioniamo con gli occhiali del passato, saranno risorse buttate al vento”.
Quali sono allora le direttrici sulle quali scommetterebbe PSA?
“Il ferro, in prima battuta. Non parliamo della rete autostradale che da Genova punta alla Pianura Padana, che sarebbe da ricostruire. Ma del fatto che è la ferrovia ad essere un motore centrale per lo sviluppo nazionale ed europeo. A Genova abbiamo noti problemi lato terra, perché già ora con questi volumi siamo in difficoltà. Se pensiamo al futuro dobbiamo per forza immaginare alternative praticabili, che siano contestualmente sostenibili e con grande impatto economico e lavorativo. In Italia abbiamo tanto mare e tanti porti, ma sono scali piccoli, che non possono reggere il confronto con altri giganti del continente europeo. Continuando a farci concorrenza l’un l’altro abbiamo perso di vista il quadro generale. Ogni Autorità Portuale gestisce navi da crociera, cargo, rinfuse. Tutti vogliono tutto, e non capiamo che così facendo non facciamo che togliere competitività al settore e alla nazione. Non possiamo che puntare sul ferro, è il nostro contratto con il futuro”.
Leonardo Parigi