Svanito l’effetto di esaltazione per l’avvio del PNRR, l’Italia fa i conti con una crisi geopolitica inaspettata, che la fa ripiombare nel più classico dei suoi malanni: la stagnazione. Se la logistica è il vero motore dello sviluppo italiano, la sua crescita e la sua competitività sono al centro del dibattito nazionale, che però oggi manca di una visione d’insieme in grado di rivendicarne responsabilità e obiettivi credibili.
“Le sfide della logistica italiana e del Nord Italia in particolare sono quelle di fare un salto di competitività”, ragiona Bartolomeo Giachino, Presidente appena riconfermato di Saimare e già Sottosegretario di Stato al MIT nel governo Berlusconi del 2008.
“Ora che il governo ha deciso di costruire la nuova diga nel porto di Genova, che mancano pochi anni alla fine dei lavori del Terzo Valico ferroviario, nell’attesa del TAV, la logistica pubblica deve fare un salto di qualità dopo dieci anni persi. Perché oggi, mentre i porti si sono abbastanza rilanciati, il ministero va avanti troppo lentamente. In un mondo che va a un passo triplo rispetto al nostro, come possiamo essere ancora qui ad aspettare l’attivazione dello Sportello Unico dei controlli?”.
La tecnologia non può che avere un aspetto centrale, nella rivoluzione del mondo dei trasporti di cui siamo solo agli albori. Ma La visione di Giachino si sofferma sulla cronica mancanza di infrastrutture e di regia centrale.
“La mancata riforma degli interporti è un altro tassello di cui si attende con impazienza lo sviluppo. Perché questi ritardi pesano per miliardi di euro sulle nostre casse pubbliche, sull’occupazione nazionale, sulla creazione di valore. Abbiamo bisogno che le macro-aree Nord Ovest e Nord Est si diano una regia sulla logistica, per farla lavorare a sistema, perché dopo tante parole i container diretti all’Italia che arrivano nel Nord Europa sono aumentati. Se la merce che punta la Pianura Padana sbarca a Rotterdam o Anversa, il problema è evidente. Ancor di più a fronte del fatto che i numerosi porti italiani non hanno eguali in Europa, per numero e capacità di capillarità”.
Eppure non si vede la fine di una visione campanilistica, che anzi appare sempre più permeante dell’intera catena logistica. È così?
“Rendere più competitivi i porti significa anche collegarli alla rete ferroviaria in modo tale che arrivino i container a destinazione nel modo più green possibile. Avendo porti che sono dentro le città, è evidente che i 4000 tir che intasano la rete stradale genovese non è più sostenibile. Ma se la Liguria ha fatto notevoli passi avanti, lato mare, il Piemonte è tutt’altro che al passo.
Gli interporti sono mal collegati, la rete ferroviaria è insufficiente. Lo sappiamo da decenni, è incredibile che non si riesca a modificare con forza e determinazione lo status quo, per intercettare i trend del prossimo futuro. L’Italia senza globalizzazione sarebbe molto più povera, senza l’aumento delle esportazioni il nostro PIL negli ultimi 10 anni sarebbe andato in rosso. Abbiamo bisogno che il mondo si sviluppi, che compri la nostra manifattura. Il nostro Paese deve giocare un ruolo sempre più importante nella politica estera e commerciale mondiale, abbiamo bisogno che l’economia globale affinché il Paese cresca. La logistica è un elemento di sviluppo, e siccome è labour intensive, si possono creare posti di lavoro per i neolaureati e per ricollocare i lavoratori in cig”.
Ma il mondo della logistica non può passare solo dalla materiale infrastruttura classica.
“Logistica e digitalizzazione si aiutano a vicenda, perché la prima vale il 10% della nostra economia nazionale. Ma se si blocca, tutta l’Italia va in tilt. Non possiamo non guardare a ciò che succede oltre le Alpi e il mare, la posizione che abbiamo nel Mediterraneo ci condanna a lavorare con il resto del mondo. E questo, da sempre. Sarebbe bene che lo tenessimo sempre a mente e che ristudiassimo Cavour”.
Leonardo Parigi