Arteria fondamentale del commercio marittimo internazionale, il canale di Suez ha vissuto negli ultimi due anni una delle fasi più difficili della sua storia recente. Tradizionalmente utilizzato da oltre 26.000 navi all’anno, nel 2024 il numero di transiti è precipitato di circa il 50%, attestandosi attorno a 13.200 navi, con un crollo dei pedaggi da oltre 10 miliardi di dollari a circa 4 miliardi, pari a una diminuzione superiore al 60% degli introiti complessivi. Questo brusco ridimensionamento non ha riguardato solo le unità che attraversano il canale, ma anche il tonnellaggio trasportato e i servizi logistici collegati, determinando uno smottamento profondo nei flussi globali di merci e nei conti delle economie che dipendono da questa via d’acqua strategica. La causa principale della crisi è stata l’instabilità nella regione del Mar Rosso e dello Stretto di Bab el‑Mandeb, dove attacchi ripetuti contro navi commerciali hanno indotto numerose compagnie di navigazione ad evitare completamente la rotta tradizionale. La deviazione imposta verso la via alternativa attorno al Capo di Buona Speranza, molto più lunga, ha aumentato i tempi di percorrenza di circa 10‑15 giorni e fatto lievitare i costi operativi per carburante, equipaggio e coperture assicurative. A causa delle maggiori distanze e della congestione delle rotte alternative, i costi del trasporto di materie prime come l’acciaio sono aumentati in alcuni casi di oltre 150% rispetto ai livelli pre‑crisi, portando i noli da circa 1.200 dollari per Teu a punte anche di 3.000‑5.000 dollari per Teu nei momenti di maggiore pressione.

Anche nei primi mesi del 2025, il traffico non è tornato ai livelli storici, pur mostrando segnali di attenuazione della crisi. Nel primo trimestre, il transito di navi nel canale è stato inferiore del 17% rispetto allo stesso periodo del 2024, con tonnellaggio complessivo in calo di oltre il 20%, mentre nei mesi successivi le diminuzioni si sono mantenute nell’ordine del 7‑15%. Anche nel secondo trimestre il flusso generale registrava un calo di oltre il 6% rispetto all’anno precedente, pur con qualche variazione settoriale tra petroliere e altre navi. Nel complesso, nei primi nove mesi del 2025 il numero totale di transiti rimane inferiore del 7‑8% rispetto all’anno precedente, mostrando al tempo stesso segni di ripresa graduale nei mesi estivi e autunnali, con periodi in cui i transiti sono tornati a crescere di oltre il 10% su base trimestrale. Questi numeri raccontano non solo un calo quantitativo, ma soprattutto costi logistici significativamente più elevati e ritardi nelle consegne che hanno avuto impatti in tutte le catene globali di approvvigionamento e hanno complicato la gestione delle scorte aziendali su scala mondiale. Per molte imprese italiane, il rallentamento ha significato dover ripensare la programmazione produttiva e commerciale, con ritardi medi nelle consegne stimati tra 10 e 20 giorni in diverse rotte Asia‑Europa. La pressione sui prezzi dei noli e sulle tariffe di assicurazione, cresciute di diversi punti percentuali a causa del rischio percepito, ha inciso sui margini di profitto delle compagnie di navigazione e ha spinto molte imprese a riconsiderare le proprie strategie di approvvigionamento e distribuzione.
Dal punto di vista dell’economia italiana, la crisi di Suez ha colpito con particolare durezza perché una fetta significativa, stimata intorno al 40% degli scambi commerciali marittimi italiani con Asia e Medio Oriente, dipende proprio dalla rotta che passa attraverso il Mar Rosso. Questa dipendenza ha reso il nostro sistema produttivo particolarmente vulnerabile alle perturbazioni dei traffici marittimi, imponendo costi logistici più alti e ritardi nella consegna di componenti e prodotti finiti destinati all’export. I settori più esposti sono stati quelli con catene di fornitura “just in time”, come l’automotive, la meccanica di precisione e l’elettronica, dove anche pochi giorni di ritardo possono tradursi in costi di fermo impianto e perdite di opportunità contrattuali. Anche i porti del Mediterraneo hanno avvertito la tensione causata dai cambiamenti nei percorsi.

Gli scali che fungono da hub di transhipment e di smistamento delle merci verso l’interno del continente hanno visto variazioni nei flussi di container, con alcuni terminal che hanno dovuto affrontare congestioni in fase di picco, mentre altri hanno beneficiato di una maggiore diversificazione delle rotte. In alcuni casi, la maggiore durata dei viaggi e l’aumento dei costi operativi hanno incentivato traffici supplementari di navi più piccole o servizi feedering, spingendo alcuni porti a ripensare la propria offerta di servizi logistici e le connessioni ferroviarie con l’hinterland. Guardando al futuro prossimo, ci sono segnali incoraggianti che indicano la possibilità di una graduale normalizzazione dei traffici attraverso il Canale di Suez. A fine 2025 alcune grandi compagnie di navigazione hanno iniziato a riprendere transiti lungo la rotta tradizionale, dopo una sospensione protratta per quasi due anni, segnando un primo passo verso il ritorno alla piena operatività. Altri operatori storici del trasporto marittimo hanno annunciato l’intenzione di utilizzare nuovamente Suez per alcune rotte chiave a partire dai primi mesi del 2026, pur con una transizione graduale che prevede 60‑90 giorni di adeguamento per stabilizzare la programmazione dei servizi e evitare congestioni nei porti.
Leonardo Parigi