L’Europa ha esteso il sistema di scambio delle emissioni (Eu Ets) al settore marittimo, un passo cruciale nel quadro del Green Deal comunitario. Entrata in vigore all’inizio del 2024, questa normativa ha immediatamente suscitato reazioni contrastanti tra le compagnie di navigazione e gli operatori portuali. La motivazione principale dell’ostilità risiede nei significativi impatti economici attesi: acquistare quote per ogni tonnellata di CO₂ emessa comporterà costi aggiuntivi rilevanti. Con il prezzo delle quote fissato intorno ai 70 euro per tonnellata, le stime indicano un esborso complessivo per le compagnie marittime di circa 2,9 miliardi di dollari già nel 2025, destinato a salire fino a 7,5 miliardi nel 2026. A ciò si aggiunge la pressione competitiva derivante dall’impiego di biocarburanti e gas naturale liquefatto, alternative più ecologiche ma costose e in competizione con altri settori, come l’aviazione, per l’approvvigionamento di materie prime. L’aumento dei costi operativi rischia quindi di comprimere i margini delle compagnie e di generare distorsioni concorrenziali tra operatori europei e vettori extraeuropei, che potrebbero cercare di eludere le normative modificando rotte o operando al di fuori dei porti soggetti all’Ets.
A preoccupare il settore sono anche le implicazioni legali della normativa. Alcuni operatori avanzano dubbi sulla compatibilità della norma con il diritto internazionale, contestando la giurisdizione dell’Ue sulle navi battenti bandiera di paesi terzi. La normativa richiede che le compagnie monitorino, riportino e verifichino le proprie emissioni, mentre dal 2025 è scattato l’obbligo di cedere quote per il 40% delle emissioni verificate l’anno precedente. Questa soglia salirà al 70% nel 2026 e al 100% a partire dal 2027, costringendo le imprese a pianificare strategie finanziarie complesse e a sostenere costi crescenti in modo progressivo ma inesorabile. Dal punto di vista economico, le compagnie marittime dovranno gestire l’acquisto e la gestione delle quote, confrontandosi con la volatilità dei prezzi e con scenari di mercato incerti. Contestualmente, gli armatori sono spinti a investire in tecnologie a basse emissioni, come biocarburanti e gas, la cui adozione richiede capitali significativi e garantisce ritorni economici solo sul lungo periodo. Alcune compagnie stanno già considerando modifiche alle rotte e ottimizzazioni operative per ridurre i consumi e, di conseguenza, le quote da acquistare, ma tali cambiamenti comportano costi aggiuntivi e una gestione logistica più complessa.

L’introduzione dell’Ets rappresenta un segnale chiaro da parte europea, con una bussola che indica la decarbonizzazione come obiettivo ultimo. Ma lo fa imponendo alle imprese un equilibrio delicato tra sostenibilità ambientale e sostenibilità economica. Per questo, la comunità marittima chiede un quadro normativo chiaro e stabile, accompagnato da incentivi concreti e da misure che limitino il rischio di concorrenza sleale. Il settore marittimo europeo si trova quindi a un bivio. Adattarsi rapidamente a regole più stringenti, investire in tecnologie verdi e rivedere strategie operative, oppure rischiare di subire aumenti dei costi che potrebbero compromettere la competitività sui mercati globali. In prospettiva, la sfida non è solo ambientale, ma profondamente economica. L’Ets potrebbe diventare un motore di innovazione e di efficienza, a patto che le compagnie marittime siano in grado di gestire l’impatto finanziario e di integrare le nuove regole nella gestione quotidiana delle flotte e dei porti. La transizione verso una navigazione sostenibile è inevitabile, ma il successo dipenderà dalla capacità del settore di trasformare la normativa europea in un’opportunità, e non solo in un onere economico.
Leonardo Parigi