L’Italia sta vivendo una stagione di straordinari investimenti nel settore logistico, con un’attenzione sempre più marcata alla integrazione tra i porti e la rete ferroviaria nazionale. In un momento storico in cui la sostenibilità ambientale, l’efficienza delle catene globali di approvvigionamento e la competitività sui mercati europei diventano leve decisive per la crescita economica, la “cura del ferro” – ovvero il rafforzamento del trasporto merci su rotaia – emerge come una priorità. Questa spinta verso una logistica più integrata e digitale si inserisce in un quadro europeo che vede, tra le varie iniziative, un’attenzione sempre maggiore alle connessioni interne al continente e ai grandi corridoi Ten-T per sostenere il commercio intra-Ue.
Al centro di questa trasformazione c’è il Polo Logistica del Gruppo FS, che nel nuovo Piano Strategico 2025-2029 ha stanziato 1,4 miliardi di euro per potenziare gli asset logistici fisici e digitali del Paese. L’obiettivo è ambizioso: modernizzare terminal e linee ferroviarie per portare gli standard italiani in linea con quelli europei, permettendo treni merci di 750 metri di lunghezza e 2.000 tonnellate di peso, capaci di garantire tempi di transito più rapidi e maggiori volumi di traffico. Inoltre, entro il 2029 sono previste 110 nuove locomotive elettriche di ultima generazione, 25 locomotive da manovra ibride e oltre 2.000 carri tecnologicamente avanzati, per sostenere la crescente domanda di trasporto intermodale tra porti e hinterland. La consegna della 200esima locomotiva Traxx Universal a fine 2025 è già stata celebrata come un passo significativo verso l’interoperabilità transfrontaliera, fondamentale per il traffico merci verso il Centro e il Nord Europa.

Questo rinnovamento dell’infrastruttura ferroviaria non è solo un’operazione di ammodernamento tecnico, ma rappresenta la risposta italiana a una sfida più ampia: incrementare la quota modale ferroviaria nazionale dal circa 12% attuale verso un obiettivo del 15-18% entro il 2030, riducendo così l’eccessiva dipendenza dal trasporto su gomma e contribuendo alla decarbonizzazione del settore. Un altro aspetto cruciale della strategia riguarda il cosiddetto “ultimo miglio ferroviario” nei porti. In particolare negli scali adriatici, come Ravenna, Trieste, Venezia e Ancona, l’integrazione tra sistemi portuali e rete FS è diventata centrale per ridurre i colli di bottiglia operativi e migliorare la tracciabilità delle merci, soprattutto per lo short sea shipping diretto verso i Balcani e la Turchia. A Ravenna, un protocollo tra Mercitalia Logistics e lo scalo ha integrato il port community system con i sistemi ferroviari FS, ottimizzando le operazioni di caricamento e scarico e favorendo un flusso più fluido tra mare e ferro. Questo lavoro di integrazione non si limita alle infrastrutture fisiche. La spinta verso la digitalizzazione è stata sostenuta da bandi come LogIN Business, con 157 milioni di euro stanziati per standardizzare lo scambio dati tra porti, interporti e ferrovie. Senza una piattaforma digitale interoperabile, infatti, i vantaggi infrastrutturali rischiano di non tradursi in efficienza operativa.
Accanto agli investimenti pubblici, un ruolo sempre più significativo è giocato dagli operatori privati. Gruppi come FHP Group, oggi tra i principali protagonisti dell’integrated logistics in Italia, stanno consolidando reti portuali e ferroviarie che collegano terminal marittimi e centri intermodali su scala nazionale ed europea, con oltre 300.000 metri quadrati di magazzini e una flotta di locomotive e carri per traffici regolari. Questa dinamica si inserisce in un contesto di supporto anche dal lato degli incentivi governativi, come il Ferrobonus, che nel bilancio triennale 2025-2027 destina risorse significative alle imprese che scelgono il trasporto ferroviario rispetto a quello stradale, favorendo una transizione modale coerente con gli obiettivi di sostenibilità ambientale ed economica.
Nel sistema portuale italiano, gli scali dell’Adriatico stanno assumendo un ruolo sempre più strategico per collegare il Mediterraneo ai mercati dell’Europa centrale e orientale. Per contrastare l’attuale asimmetria infrastrutturale – con oltre il 70% degli impianti dell’ultimo miglio concentrati nel Nord Italia – sono stati programmati investimenti mirati, inclusi quasi un miliardo di euro dal Pnrr per potenziare tratte cruciali come Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina, rafforzando i collegamenti con i corridoi adriatico e scandinavo-mediterraneo. Il porto di Trieste, in particolare, si conferma un nodo ferroviario di primo piano, con oltre 10.000 treni all’anno e una crescente presenza di servizi merci verso l’Europa centrale. Altri scali, come Ancona e Bari, stanno lavorando per potenziare i raccordi ferroviari e gestire meglio i flussi ro-ro provenienti da Albania e Grecia, mirando a trasferire su ferroquote maggiori del traffico attualmente gestito su gomma.

Il quadro che emerge è quello di un settore in trasformazione, dove l’intermodalità viene vista non solo come un vincolo tecnico, ma come una leva competitiva per l’economia italiana. La modernizzazione della logistica portuale e ferroviaria promette di ridurre i costi di trasporto, aumentare la velocità di consegna delle merci e favorire l’attrazione di traffici internazionali, in un momento in cui la catena del valore globale è messa alla prova da conflitti, dazi e incertezze geopolitiche. Tuttavia, le sfide rimangono. Occorre accelerare la digitalizzazione operativa dei porti, completare le opere infrastrutturali annunciate e garantire un’effettiva interoperabilità tra i diversi attori della filiera. Solo così l’Italia potrà trasformare i suoi porti da semplici scali di transito in nodi logistici intermodali competitivi a livello europeo e globale, capaci di sostenere una crescita economica duratura senza compromettere gli obiettivi ambientali e sociali che oggi guidano le scelte di politica industriale.
Leonardo Parigi