di Leonardo Parigi
“La nostra portualità è frammentata e diffusa, ma questo non è per forza un male. Anzi, sappiamo bene che le peculiarità del sistema portuale e logistico italiano, per quanto siano effettivamente di carattere poco competitivo sui grandi modelli, rappresentano il grande vantaggio del sistema industriale italiano”. Alessandro Ferrari, direttore di Assiterminal, alza lo sguardo a una prospettiva più ampia, quando gli si chiede del momento storico dei porti e della logistica. “Non nascondiamoci, è chiaro che siamo di fronte a un momento in cui c’è anche un granello di panico, nelle discussioni di politica. Ma cerchiamo di evitare di guardare al futuro solo con gli scenari peggiori, restiamo lucidi. Se dobbiamo considerare tutto, è chiaro che il sistema logistico italiano ed europeo non si è poi integrato molto, rispetto ai discorsi che facevamo a seguito della pandemia. Ma è altrettanto vero che tanti investimenti sono stati messi sul piatto dell’economia europea, che la tensione crescente con l’Asia ci sta spingendo verso un ripensamento generale delle produzioni”.
Diciamo che allora si fa di necessità virtù, se consideriamo gli scenari più preoccupanti e una politica internazionale più votata alla chiusura dei mercati e dei confini, leve per arrivare a fini più utili? “Senza esagerare, ma sì. Nel senso che per molto tempo abbiamo parlato di re-shoring, perché non approfittarne ora che vediamo i grandi limiti di una lunga catena logistica? Però stiamo attenti, dobbiamo uscire da una dinamica mentale in cui parliamo a lungo di certi temi, senza poi andare sul concreto. Non abbiamo davanti a noi un lungo tempo di ragionamento, ma cambiamenti anche repentini”.
Avanti, nonostante tutto
Dalla crisi tedesca alla chiusura del canale di Suez, dall’Ucraina alle coste del Libano, passando per la Casa Bianca, le volontà di Mosca e la fragilità strutturale europea. È facile perdere l’equilibrio. “Che e proprio quello che dobbiamo evitare, perché l’Italia continua a essere un paese che produce poco, in termini assoluti. Viviamo di commercio, import ed export. Il mondo intorno a noi è cambiato molto, ma le cifre economiche italiane sono perlopiù simili a quelle di inizio millennio, con una crescita modesta, una produzione industriale asciutta. La chiusura di Suez ci dimostra anche qualcosa di relativamente positivo, e cioè il fatto che il nostro sistema portuale è in grado di rifornire egregiamente il mercato interno. Non abbiamo subìto particolari contraccolpi da quello che sta avvenendo, e questo ci racconta anche che il Mediterraneo e il traffico shortsea sono per noi una caratteristica solida”.
Ma così forse si rischia di non crescere mai, restando sempre relativi a mercati più grandi, a spazi più innovativi, subendo anche le instabilità. O no? “Anche qui, dipende dalla prospettiva dalla quale guardiamo alla questione. Se restiamo in un ambito più piccolo, stiamo relativamente bene. Ma dobbiamo anche imparare a essere davvero trasparenti, anche per la produttività. Se pensiamo al modello delle concessioni portuali, o al tema del carbon footprint, quali sono i parametri? In ambito italiano ed europeo serve che ci diamo regole chiare, condivise, anche se poi vanno calate nella realtà.
Parlando di “green corridors”, come facciamo a calcolare in maniera uniforme i plus e i minus di porti come quelli croati e spagnoli? Qual è il parametro di riferimento, quali le premialità e le penalità? Se ci muoviamo in un quadro normativo interpretativo, vago, suscettibile dell’andamento politico del momento, restiamo e resteremo un peso relativo – come Italia e come Europa. Viceversa”, continua Ferrari, “sapremo interpretare correttamente il mondo che si profila intorno a noi. È qui il problema. Non è solo una questione di finanziamenti o fondi, ma della gestione degli stessi, dei quadri in cui muoverci. Le regole devono essere chiare, semplici, trasparenti“. Tema che rischia di assumere dimensioni preoccupanti il prossimo anno, quando tutti i cantieri finanziati dal piano di ripresa e resilienza (Pnrr) dovranno essere prossimi alla fine.
“Sappiamo già che ci saranno grossi problemi, sia sulle tempistiche sia sulle realizzazioni. Ci saranno sicuramente delle forme di compensazione, ma sarà un’ennesima dimostrazione di non saperci guardare con nuovi occhi, anche per la gestione del personale che è stato integrato nelle strutture pubbliche e che rischia di diventare un peso enorme per le casse pubbliche, senza prospettive”.