“Cambiamenti climatici, infrastrutture e mobilità. Soluzioni e strategie per gli investimenti infrastrutturali in un contesto di adattamento ai cambiamenti climatici e di mitigazione delle emissioni di gas-serra”. Era l’inizio del 2022 quando il ministero delle infrastrutture mandava in stampa il corposo documento firmato da una commissione di studio ad hoc, coordinata dall’Università Cà Foscari di Venezia, che si prefiggeva l’intento di fare chiarezza sull’impatto del cambiamento climatico sulle dinamiche della logistica. E provare a porvi rimedio, identificando soluzioni per i porti, le autostrade, le ferrovie e tutto il settore del trasporto merci. Perché, come detto nel documento, “Le ondate di calore tendono a modificare le caratteristiche dei materiali costituenti le pavimentazioni in conglomerato bituminoso che nel caso dei porti interessano i terminali marittimi e in particolare le aree in cui avviene la movimentazione e lo stoccaggio delle merci e lo scambio intermodale del trasporto, […] Tali impatti, a seconda della severità, possono tradursi in costi legati all’adeguamento delle componenti infrastrutturali.
Le ondate di calore possono inoltre aumentare il consumo di energia (e quindi dei costi) per il raffreddamento della merce deperibile per la quale è necessaria la refrigerazione. L’aumento della temperatura media peraltro sta favorendo lo scioglimento dei ghiacci polari con conseguenze rilevanti sulle rotte marittime. Lo scioglimento della banchisa artica potrebbe infatti rendere possibile l’utilizzo nel periodo estivo della rotta artica (passaggio a Nord-Est o a Nord-Ovest) per il collegamento tra l’Asia e l’Europa (Østreng, 2013). Tali variazioni potrebbero produrre una considerevole riduzione dei tempi di trasporto navale con possibili benefici economici favorendo i porti Nordeuropei rispetto a quelli italiani e più in generale quelli del Mediterraneo”.
Uno spaccato che due anni dopo fa i conti con una situazione internazionale diversa e più pressante, dove la sostenibilità e i processi di transizione ecologica vanno di pari passo – se non declinati in tono minore – con i costi industriali in costante aumento e un quadro geopolitico instabile. Nel marzo 2023 la Corte dei Conti europea evidenziava come l’Unione a 27 segnasse un forte ritardo nello sviluppo di una logistica intermodale in grado di raggiungere il suo obiettivo principe: trasferire dalla strada alla ferrovia il 30% delle merci su percorrenze superiori ai 300 chilometri, entro il 2030.
Stando ai documenti redatti dall’organismo con sede in Lussemburgo, negli ultimi 30 anni sono stati costruiti oltre 30mila chilometri di nuove autostrade in Europa, mentre la rete ferroviaria si è ridotta del 6,5%, tagliando quasi 15mila chilometri di binari. Sono oltre 16mila i chilometri di linee ferroviarie in esercizio che attraversano l’Italia, di cui oltre 1000 chilometri di essi sono ad alta velocità. I tanti progetti inseriti nel quadro del “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” prevedono cospicui investimenti in tutti i settori. Dai porti alle infrastrutture ferroviarie, dalla mobilità elettrica all’efficientamento degli snodi logistici.
Oggi, con il termine dei progetti che si fa sempre più vicino, occorre andare a guardare da vicino quale sia lo stato di avanzamento lavori nel nostro Paese. Sfida non facile, perché sul sito dedicato del ministero del lavoro, i dati più aggiornati sono quelli del giugno 2023. Openpolis segnala che i fondi Pnrr spesi lo scorso anno siano circa il 7,4% del previsto, ma risulta difficile oggi avere una panoramica precisa. La logistica e la transizione verde vivono quindi un momento di grande investimento, perché in ogni meccanismo della catena sono attivi progetti, programmi e sviluppi – anche per quanto riguarda la ricerca, declinata in special modo su nuovi combustibili e su impianti tecnologici. Per capire come e dove stiamo andando, servono però mappe più larghe che al momento latitano.
Leonardo Parigi