C’è un nome, nel panorama armatoriale italiano, che nel corso degli ultimi anni si è distinto per l’accelerazione dei propri investimenti su nuove navi, puntando su una sempre maggiore sostenibilità ambientale. Il Gruppo Grimaldi ha registrato importanti novità e numeri, e già nelle prime settimane del 2023 è riuscito a dare un’ulteriore spinta verso il proprio futuro. Sono ben 15 le nuove car carrier ordinate nel giro di tre mesi a cantieri cinesi, con una quota complessiva di 25 navi in costruzione che va ad ampliare del 20% il totale della flotta. Nuove navi ammonia-ready, che quindi potranno essere riconvertite al carburante “verde” nel prossimo futuro. Tema spinoso, quello degli impianti di bordo. Tanto che si considera molto semplice il passaggio da un combustibile all’altro, ma difficilmente teniamo conto delle tempistiche (e dei costi relativi) per l’ammodernamento, la sostituzione e la certificazione di un nuovo impianto.
“Pensiamo anche ai sistemi di trattamento dei gas di scarico (scrubber), ad esempio, e al GNL, che nel 2015 erano il non-plus-ultra della sostenibilità ambientale sulle navi”, riflette Dario Bocchetti, Energy Saving, R&D and Ship Design Manager del gruppo. “Oggi sappiamo che quelle tecnologie vanno esaurendo la loro carica di innovazione, per quanto siano le più adeguate soluzioni transitorie applicabili ad un grande numero di navi esistenti almeno per questo decennio. In soli 7 anni siamo passati da supporto verso tali tecnologie a una spinta normativa internazionale verso altre forme di investimento legate a nuovi obblighi (vedi la normativa FUEL EU MARITIME). Per una maggiore sostenibilità è necessario un orizzonte temporale adeguato che garantisca gli investimenti, mentre nuove normative vengono valutate e soprattutto mentre le tecnologie vengono sviluppate. Penso ai futuri motori ad ammoniaca che ancora non esistono, così come alla logistica e alla distribuzione dei futuri combustibili alternativi”.
Il Gruppo Grimaldi ha investito molto in questi anni, soprattutto nella direzione di nuove navi e nuovi strumenti tecnologici per il risparmio di carburante. E se la sottoscrizione degli ambiziosi obiettivi di net-zero al 2050 sembrano in linea, difficile dire se nel corso dei prossimi cinque anni sarà possibile per tutto il settore centrare un vero salto di qualità. “Sappiamo che i tempi dell’industria marittima sono più lunghi di quelli dell’aviation e dell’automotive, ma nel giro di pochi anni stiamo davvero facendo grandi salti in avanti. Detto questo, manca ancora un processo tecnologico che ci possa portare a spron battuto verso i desiderata internazionali.
“Senza uno sviluppo della tecnologia – che riguarda in primis i componenti dei motori, degli impianti di stoccaggio e distribuzione e della produzione degli alternativi fuel in modo green – non potremo pensare di rivoluzionare il settore. Ma occorre anche progredire per step intermedi, visto che molto dipenderà anche dall’organizzazione della logistica dei combustibili”. Cambiare, è una parola. Ma se le iniziative intraprese dal mondo pubblico e privato sono molteplici, è difficile delineare dei tempi chiari e certi. “Anche perché i fattori in campo dipendono non solo dalla nostra volontà”, prosegue Bocchetti. “Come Grimaldi abbiamo investito tanto in navi altamente efficienti ed ammonia-ready, ma restando flessibili. Anche perché non possiamo dire con certezza quale sarà il principale carburante del prossimo futuro, anche in una finestra di tempo di una decina d’anni circa”.
“Credo che il futuro ci mostrerà un ventaglio di opportunità di combustibile, in base alle tipologie di nave e di rotte. Se l’elettrico sarà sicuramente interessante per traghetti e navi con rotte commerciali brevi e tra due porti che possano ricaricare le batterie, così come stiamo assistendo alle elettrificazione delle banchine, magari i bio-fuel integrabili con il diesel ordinario, insieme all’ammoniaca, al metanolo e ad altre forme ancora di propulsione diventeranno la norma insieme al Carbon Capture che resta forse la tecnologia oggi più promettente”.
E se i porti dovranno cambiare, cosa può servire per amalgamare alla perfezione i due mondi del pubblico e del privato? “Forse il mercato, e quindi le aziende, potrebbero essere più coinvolte nei processi decisionali dei porti, per capire più precisamente di cosa hanno bisogno le compagnie. È certamente meritorio che le Autorità di Sistema si muovano ad esempio verso il cold ironing, purchè avvenga nel rispetto della competitività, altrimenti si rischia anche di andare verso investimenti che poi potrebbero essere sottoutilizzati, rispetto ad altre necessità che non riescono a essere accolte”. Porti che in parallelo alle sfide della digitalizzazione dovranno trovare anche nuovi spazi, soprattutto in Italia. Sia per rendere più sostenibile l’intera catena logistica – magari efficientando i tempi di imbarco e sbarco delle merci, – sia per dare prospettive sicure per lo stoccaggio di nuovi carburanti che spesso hanno requisiti molto stringenti, all’interno delle aree portuali. “Ma i porti italiani, nonostante i tanti investimenti già in opera, avranno anche un’altra esigenza: diventare essi stessi totalmente sostenibili, così poi da non avere il paradosso per il quale le navi siano a impatto zero in un luogo che non ha abbattuto le sue emissioni”.
Leonardo Parigi