“Cerchiamo di non perderci in un bicchier d’acqua. La tecnologia è benvenuta sulle banchine, ma la sicurezza deve venire prima di tutto”. Si potrebbe riassumere così il pensiero di Mauro Piazza, Presidente della Nuova Compagnia Lavoratori Portuali di Venezia, a chi chiede come vede questo momento storico, con un’innovazione digitale pronta a entrare in ogni dettaglio del mondo portuale.
Ma chi pensa che le compagnie dei lavoratori dei porti siano restìe a guardare al futuro, evidentemente si sbaglia. “Quando parliamo di digitalizzazione in banchina e nell’ambito logistico, noi siamo ben contenti di vedere i risultati di investimenti mirati. Vedere i camion che varcano gli ingressi portuali senza dover più doversi fermare ai gate, ma potendo semplicemente esibire un codice o un QR Code, è un vantaggio per tutto il porto, per il comparto e per la sicurezza in generale. Senza dover passare attraverso la carta, abbiamo più velocità, più efficienza e più controllo su chi entra e chi esce dai terminal. Ma questo non deve tradursi in un’accettazione passiva del fenomeno, perché la tecnologia, di per sé, non ci regala un mondo migliore. Sono processi che vanno guidati sull’ambiente nel quale andranno a operare”.
Da Venezia a Civitavecchia, la distanza geografica non cancella la stessa linea d’onda. “È vero che è cambiato il mondo, e chi lavora sulle banchine lo sa bene che sta arrivando una forte rivoluzione in questo senso”, conferma Patrizio Scilipoti, Presidente della Compagnia Portuale di Civitavecchia. “Ma ancora troppe volte vediamo come il lavoro portuale sia sotto attacco con la ventilata ipotesi dell’autoproduzione da parte di alcuni armatori, pronti a mettere in discussione le normative vigenti a ogni piè sospinto. Eppure dovrebbero averlo capito: la sicurezza dettata dalla legge 84/94 è garante non solo dell’incolumità di chi lavora, ma anche dell’efficienza portuale. Può esistere un porto tecnologico e altamente rischioso? Ovviamente noi crediamo di no”.
“Il processo di digitalizzazione”, conferma ancora Piazza, “non è sicuramente arrestabile, ma questo non lo vorremmo neanche. Però lavoriamo perché la formazione continua sia una base da cui partire, anche perché nel nostro territorio esiste l’esigenza di lavorare insieme all’Autorità di Sistema Portuale sul tema dei pensionamenti. E quindi anche dell’inserimento di nuova forza lavoro sui moli. Il comma 15bis dell’articolo 17 della 84/94 va cambiato, lo diciamo da tempo. Quel “Può” (“Al fine di sostenere l’occupazione, il rinnovamento e l’aggiornamento professionale degli organici […] l’Autorità di sistema portuale può destinare una quota […] al finanziamento della formazione, del ricollocamento del personale ndr) deve diventare “deve, è fondamentale perché il lavoro portuale cresca al variare del mercato”.
Ma oltre alla questione di numeri, c’è il tema dell’automazione. “Certi mestieri non possono scomparire dalle banchine”, afferma ancora Piazza. “Un conto è automatizzare certi terminal solo container, ed è un discorso che comunque va affrontato per la formazione del personale. Un altro, invece, è quello che riguarda le merci varie, le rinfuse. Non è realistico, ad oggi, pensare a porti automatici che movimentino merci diverse dai contenitori”. “La formazione diventa cruciale quando non vuoi disperdere il patrimonio di saperi che è una compagnia di lavoratori portuali”, riprende Scilipoti. “Se noi siamo tutti ben disposti nei confronti dell’innovazione tecnologica, dall’altro lato dobbiamo anche sapere che c’è una visione comune con le istituzioni centrali e locali per ragionare al meglio sull’efficienza dei porti, e sul personale. La sicurezza determinata da chi segue corsi di aggiornamento costanti è imparagonabile rispetto alle ipotesi grossolane dei sistemi di autoproduzione, che andrebbero a sacrificare vite umane solo per ridurre i costi. Un’ipotesi sempre rigettata dalle norme stesse, è assurdo che sia ancora un tema ricorrente”.
Leonardo Parigi