Avventurarsi in previsioni, recriminazioni e analisi preventive e postume, quando di parla di rapporto tra logistica e Pil, è un esercizio che lasciamo volentieri ad altri. Un po’ per l’ambiguità della parola stessa (che cosa si intende per logistica? Quali attività comprende questa generica espressione?), un po’ per l’intrinseca difficoltà, che gli economisti ben conoscono, che si riscontra ogni qual volta si cerca di mettere in relazione un’attività produttiva con gli effetti diretti che genera su ricchezza, crescita e lavoro.
Quello che è innegabile, ed è da qui che vogliamo partire, è il ruolo che il mondo dei trasporti – tutto: dalla modalità marittima a quella ferroviaria – è riuscito a consolidare nel corso dei decenni nel cosiddetto ‘sistema-Paese’.
Che cosa sarebbe oggi, l’Italia, senza la sua rete di porti, autostrade, rotaie, interporti? Una risposta possiamo ipotizzarla se analizziamo gli ultimi 20 anni di immobilismo, promesse mai mantenute, cantieri aperti e mai chiusi che hanno caratterizzato, condannandolo alla stagnazione, il settore logistico, mettendo a rischio la sopravvivenza di migliaia di imprese e quella di centinaia di migliaia di posti di lavoro.
Oggi il Paese paga a caro prezzo l’entropia politica che, per motivi tutt’altro che nobili, ha impedito a uno dei più solidi pilastri della sua economia di progredire, fermando una corsa iniziata nel Dopoguerra che pareva destinata a non fermarsi.
Occorre, quindi, ripartire da dove ci siamo fermati. Progettare e realizzare opere che siano in manifesta continuità con il percorso interrotto, che siano compatibili con le richieste del mercato e rispettose dei territori, che non consegnino interi pezzi della catena logistica a un unico soggetto (il caso del gas russo dovrebbe averci insegnato qualcosa) ma che abbiano l’obiettivo di sostenere la crescita dell’intero cluster.
Quanto sia importante una buona infrastruttura per favorire la competitività del Paese lo dimostrano i numeri diffusi da Fedespedi, che testimoniano in modo inequivocabile il forte legame esistente tra industria e trasporti. Lo scorso anno i porti italiani, dopo la drammatica parentesi pandemica, sono tornati a crescere, superando per la prima volta la soglia degli 11 milioni di TEU movimentati. Non è un caso che le maggiori percentuali di crescita si siano registrate alla Spezia (+17,2%), Genova (+8,7%) e Savona (+52,8%), ovvero nei bacini portuali legati all’andamento dell’economia del Nord Italia, in particolare della Lombardia.
Migliorare questo sistema, alla luce dei numeri appena citati, dovrebbe essere la prima priorità, nell’agenda di un buon governo. Ed è questo il nostro auspicio, che immaginiamo essere lo stesso dell’intera comunità dello shipping e dei trasporti.
I fondi del PNRR, se affiancati da un disegno di crescita condiviso con i mondi dell’impresa e del lavoro, possono davvero fare ripartire il Paese.
Helvetius