Mari insicuri, Fedespedi: “L’Europa si dia una leadership forte e chiara”

A pochi giorni dalle elezioni europee che andranno a rinnovare il parlamento di Bruxelles e i vertici della commissione europea, le incognite sul voto spingono il futuro dell’Unione verso acque poco tranquille. E per restare in tema, i mari che lambiscono le coste del continente non vivono certamente un momento di tranquillità. “Attualmente le aree più a rischio sono certamente quelle del Medio Oriente, con la missione Aspides in campo per controbattere agli attacchi delle milizie Houthi verso il naviglio mercantile”, afferma Alessandro Pitto, presidente di Fedespedi. “Abbiamo visto come la tecnologia, per quanto sia certamente una cosa positiva, possa anche dare una mano involontariamente a chi vuole utilizzarla per danneggiare le navi. Pensiamo ai trasmettitori AIS, che consentono di conoscere in tempo reale la posizione di una nave: questo strumento è stato largamente utilizzato anche da chi vuole attaccare gli scafi, motivo per cui ultimamente viene spento durante la navigazione in certe zone”.

houthi

Dallo stretto di Hormuz al Golfo Persico, dal Mar Rosso al corno d’Africa, sono molte le aree regionali con elevato pericolo per le navi commerciali. Che negli ultimi mesi hanno ripreso l’antica rotta della circumnavigazione dell’Africa. “Non tutto il male viene per nuocere”, ragiona Pitto. “Dovendo stare in mare aperto, almeno sappiamo che il pericolo legato alla pirateria è molto più basso di prima. Ma dobbiamo ragionare con una mentalità diversa. Se dopo la pandemia eravamo arrivati quasi a una consegna della merce just-in-time, adesso che i tempi si sono nuovamente allungati sulla catena logistica sono necessari aggiustamenti strutturali. Servono più magazzini e servizi di stoccaggio, perché il rischio di incidenti e attacchi ha spinto la produzione globale dal Far East ad aumentare l’invio della merce, per evitare ad esempio che i magazzini, nel periodo natalizio, siano vuoti. Quindi ora c’è grande pressione sulle banchine e molto traffico diffuso”.

Il ciclo delle crisi

La bolla dei noli e la pandemia, poi la guerra in Ucraina e adesso la crisi mediorientale. Ma la catena logistica può anche dare indicazioni precise, in termini di produzione e decisioni politiche, o può solo subire i vari impulsi globali, cercando al massimo di essere più resiliente? “Non possiamo rispondere noi come settore per gli aspetti della sicurezza e della difesa, com’è ovvio”, risponde il vertice dell’organizzazione che rappresenta e tutela gli interessi delle imprese di spedizioni internazionali in Italia, settore che genera un fatturato di oltre 15 miliardi di euro l’anno. “Quello che possiamo fare è di dare indicazioni precise al mondo politico perché possa decidere autonomamente per il meglio del nostro settore. Dalle prossime elezioni europee speriamo che esca un’Europa unita e forte, in grado di dare indicazioni chiare non solo a noi, ma a tutti. Perché c’è il forte rischio che le istituzioni europee vivano uno scollamento dalla realtà, per cui ci si occupa di temi variegati ma distanti dalle necessità di base, e senza direttrici precise di intervento”.

porto barcellona

Anni fa si parlava a lungo di re-shoring, ed era vista come una soluzione virtuosa ma complessa alle crisi della supply chain. Ora che sembra apparire in veste di necessità, c’è chi storce il naso. Quale logistica vogliamo, in sostanza? “Non c’è una risposta giusta, così come i tempi per un re-insediamento industriale dipendono da molti fattori. Ma è chiaro che se Bruxelles apre le porte alle auto elettriche senza sviluppare la sua industria, ci troviamo nella situazione assurda di essere inondati di autovetture sostenibili che arrivano dalla Cina, mentre gli Usa alzano il muro dei dazi. Bene la sostenibilità, ma facciamo i conti con quelle che sono le nostre intenzioni di crescita, altrimenti sarà una catastrofe economica sul lungo periodo. Sarebbe un’ottima cosa avere nuovamente anche sul nostro territorio alcune produzioni, ma sappiamo che è complesso. Così come potremmo trovare una grande chiave di sviluppo congiunto se potessimo avere un traffico merci da e per le coste nordafricane, dove magari portare una parte di produzione industriale. Ma l’instabilità politica è chiaramente troppo elevata al momento”.

Le richieste all’Europa

Il settore rappresentato da Alessandro Pitto impiega circa 50.000 addetti in Italia, con una quota pari al 20% del fatturato dell’intero settore dei trasporti. Che, come Confetra, ha pubblicato un manifesto che integra le richieste del settore alla futura Commissione Europea. “Le previsioni confermano una crescita debole, per i problemi di adattamento di imprese, di famiglie e delle finanze pubbliche a fronte di tassi di interesse ancora elevati, di un’espansione contenuta degli scambi internazionali, della percezione di forte aumento delle difficoltà sociali e della povertà”, si legge nel documento. “Il rischio è che ci passi tutto sopra la testa”, riflette ancora Pitto. “Dovremmo ricordarci che logistica e shipping sono stati la spina dorsale della globalizzazione negli ultimi decenni. Ci sono stati effetti deleteri, e anche alcune delle crisi possono essere legate a questo processo, ma la globalizzazione ha migliorato le condizioni generali del mondo. Mediamente dove ci sono scambi e commercio c’è anche una situazione di pace e prosperità, bisognerebbe recuperare una condizione di questo tipo. Manca però una leadership politica forte. L’auspicio è che l’abbia l’Europa su questioni politiche importanti, anche affermando posizioni scomode ma necessarie”.

Leonardo Parigi