La Difesa torna al centro degli investimenti

I costi generali del comparto della difesa, a livello globale, sono cresciuti significativamente negli ultimi anni. Numeri che non possono che crescere nei due anni successivi, in cui le crisi internazionali – su tutte, l’Ucraina, Gaza e il Medio Oriente – hanno determinato una forte instabilità mondiale. Ma oltre alle armi, c’è di più. La difesa è tornata prepotentemente sulla scena. Due nazioni europee, Finlandia e Svezia, hanno fatto recentemente il loro ingresso nella Nato, iscrivendosi anch’esse nel contesto di opposizione a Mosca.

L’industria e gli apparati vivono inevitabilmente un momento di grande effervescenza, soprattutto a livello di innovazione tecnologica. Il Medio Oriente, in particolare, vive fratture che appaiono insanabili, e la recente crisi del Mar Rosso, con gli Houthi con il mirino puntato sulle navi da carico in passaggio verso il canale di Suez, è solo una delle molteplici manifestazioni di una lunga guerra tra le parti. Il Mediterraneo è, ancora una volta, centrale per gli equilibri e i cambiamenti del nostro tempo. La quota di merci scambiate attraverso questo spazio di mare è di grande rilevanza a livello mondiale, ma le tensioni esistenti creano storture e indirizzi economici sempre più precari.

mm italiana
© Marina Militare

“Nel mondo della guerra industriale la premessa è la sequenza pace-crisi-guerra-risoluzione, che avrà come risultato una nuova pace; in questa sequenza la guerra, l’azione militare, costituisce il fattore decisivo. Invece il nuovo paradigma della guerra fra la gente si basa sul concetto di un continuo incrosiarsi tra confronto e conflitto, indipendentemepnte dal fatto che uno stato stia affrontando un altro stato o un’entità non statuale”. Rupert Smith, comandante di divisione britannico nella prima guerra del Golfo, comandante delle forse Onu in Bosnia ed ex vice comandante supremo della Nato, analizzava così la realtà dei conflitti nel suo “L’arte della guerra nel mondo contemporaneo” (Il Mulino). Pubblicato in Italia nel 2009, il saggio dell’ex ufficiale britannico fotografava un momento storico ormai superato, dove la “guerra asimmetrica” era diventata il vero rischio per le potenze, e dove i principali conflitti erano rappresentati dalla presenza delle forze occidentali in Afghanistan e Iraq.

Un cambio di paradigma per l’Occidente?

Ma in questo passaggio è contenuto un elemento oggi cruciale del contesto in cui ci troviamo a muovere: miliardi di investimenti in nuovi sistemi di difesa, ma senza un contesto comune davvero chiaro (e non soltato per quanto riguarda l’Europa). Una realtà sfumata in cui si intersecano gli attacchi cyber alle infrastrutture, il rinnovato interesse statale verso i carri armati e le unità marine, ma anche gli aspetti iper-tecnologici e il terrorismo. G accordi con l’Iran del 2015, gli accordi di Abramo nel 2020 e i recenti contatti israelo-sauditi avevano fatto sperare in un cambio di passo nell’annosa questione mediorientale. Tutte queste illusioni si sono rivelate tali e oggi ne paghiamo il prezzo in termine di instabilità. Il punto di rottura è stata l’aggressione russa all’Ucraina non solo perché ha riportato la guerra “classica” sul Vecchio Continente, per la prima volta nel dopoguerra, ma perché ha rimesso in discussione l’inviolabilità dei confini nazionali su cui si è retta la pace in questa parte del mondo.

navi marina militare
© Marina Militare

Tra febbraio e marzo è iniziata una delle principali esercitazioni congiunte della Nato in Europa settentrionale, che fa parte a sua volta dell’immenso spiegamento di forze di “Steadfast Defender”. Oltre 32 Paesi coinvolti, con 90.000 unità dispiegate fra terra, cielo e mare (e sotto), per prepararsi a un eventuale attacco militare di Mosca. Ma nella prima parte dell’esercitazione – chiamata Nordic Response – anche l’Italia ha partecipato alla simulazione degli scenari di guerra tra i boschi della Norvegia settentrionale, affiancando alle truppe di terra anche importanti unità marine. Oltre alla necessaria partecipazione nazionale alle esercitazioni congiunte dell’Alleanza Atlantica, il significato è chiaro: ognuno deve poter essere dispiegabile, impegnando industria, risorse e spazi alla sicurezza del continente e dei suoi interessi relativi, siano essi porzioni di mare o traffici commerciali.

L’Africa ha visto compiersi ben otto colpi di stato negli ultimi quattro anni, e l’influenza strategica di nazioni come la Francia e gli Stati Uniti vanno scemando. A favore di altre realtà, tra cui Turchia e Russia. Russia che è prossima a stabilire una nuova base navale a Tobruk, secondo le indiscrezioni degli ultimi mesi, dove verrebbero anche installati sottomarini nucleari. Una forte minaccia per il lato meridionale dell’Europa e sicuramente per le coste italiane.

Cosa cambia per l’Italia

Nelle “Linee di indirizzo strategico per la Marina Militare 2019-2034” si legge come sia necessario “porre le basi per consentire lo sviluppo, nel medio termine, di una forza armata integrata e moderna in grado di rispondere efficacemente alle sfide del prossimo futuro e capace di capire l’ambiente e le cause delle tensioni”. “La prosperità nazionale dipenderà sempre di più dal mare, basti pensare alle linee di approvvigionamento energetico necessarie al sostentamento della nostra economia e del nostro stile di vita […] In tale contesto la nostra Marina dovrà essere all’altezza delle missioni e dei compiti assegnati dall’indirizzo politico, ma soprattittp dalla marittimità stessa del Paese”.

Nuove tecnologie e nuovi sistemi d’arma, ma soprattutto un cambio di paradigma rispetto a decenni di indolenza e di programmi industriali ormai obsoleti. Le crisi attuali richiedono non soltanto una nuova linea di produzione forte, ma un cambio di mentalità. Nell’anno delle elezioni statunitensi, uno dei temi centrali è la progressiva riduzione dell’ombrello Usa sull’Europa. Bruxelles deve quindi rimboccarsi le maniche perché i suoi migliori stati membri si muovano in maniera coordinata, senza indulgere a sovraesposizioni nazionalistiche.

Leonardo Parigi