“La domanda è: cosa intendiamo per nave autonoma? Perché un conto è parlare di navi-drone, senza un equipaggio a bordo. E un altro è considerare che già oggi la tecnologia a bordo di un cargo o di una nave da crociera è tale da supportare gli ufficiali a prendere decisioni più corrette”. Sandro Stefani, docente all’Accademia Italiana della Marina Mercantile e consulente tecnico nell’ambito dell’automazione marittima, con una lunga esperienza alle spalle, parte da un presupposto: “Chiediamoci prima di tutto a cosa possa servire una nave totalmente autonoma”. Dettaglio non trascurabile, visti gli enormi costi che potrebbe avere una rivoluzione della cantieristica navale con una forte impronta tecnologica. Solo una riduzione dei costi grazie al taglio degli equipaggi? “Una visione miope e un po’ illusoria”, ragiona Stefani, che vanta anche quindici anni di dirigenza in ABB. “La sensoristica di bordo odierna aiuta già una nave a evitare collisioni, a pianificare la rotta, a fornire un grande patrimonio di dati a supporto degli equipaggi. E quindi, se l’evoluzione tecnologica spinge verso una riduzione del personale di bordo, è anche vero che l’intero settore concorda sul fatto che ci dovrà comunque essere sempre un ufficiale responsabile che guidi la nave.
Entro il 2025 dovrebbe uscire un nuovo codice definitivo, che è attualmente in fase di sviluppo presso l’IMO. Così come era avvenuto per l’aggiornamento della Convenzione SOLAS (Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, revisionata nel 1974 ndr), il settore si deve dare nuove norme internazionali per seguire gli sviluppi della tecnologia, applicati all’ambito marittimo. In questo caso è complesso anche perché bisogna trovare una soluzione al tema della responsabilità. Se una nave autonoma provoca un incidente, chi è responsabile? L’ufficiale a bordo? Il costruttore del software, l’armatore? Non sono domande aleatorie, perché significa impattare sui costi di insurance di flotte colossali”.
L’aggiornamento normativo procede in parallelo con la profonda opera di digitalizzazione in atto, che però lascia sempre scoperto il “fattore umano”. Ovvero il fatto che, nonostante tutta la dotazione tecnologica possibile, resta possibile comunque l’errore dell’equipaggio. “E così però resta aperta anche la possibilità che sia l’uomo a correggere un errore della macchina. Senza entrare nei problemi filosofici incontrati dal settore automotive, che non hanno ancora una chiara soluzione, in questo mondo è importante trovare un terreno comune per tutti. La base è data da una valida formazione del personale, che se è certamente più avvezzo alla strumentazione digitale, deve anche conoscere tutte le caratteristiche tecniche del sistema automatizzato. Un processo complesso, che richiede che gli Stati e le organizzazioni lavorino con grande efficacia sull’istruzione di qualità”.
Lo scorso anno GNV ha dato avvio a una control room a Genova che segue ogni unità in acqua, mettendo in relazione una grande quantità di dati con tutta la competenza degli ex comandanti che lavorano a terra. E che possono intervenire per dare pieno supporto agli equipaggi. “Penso sia una visione più sensata. Luoghi di questo genere sono centri di controllo che forniscono aiuti preziosi a chi deve prendere decisioni complesse, e che possono anche intervenire per ricalcolare le rotte in base alle condizioni meteomarine, intervenendo quindi anche sulla performance della nave. E quindi sui costi, sul consumo di energia, e via dicendo. Penso sia un approccio più logico, che riassume le grandi potenzialità tecnologiche a disposizione, la nuova sensoristica delle prossime unità, e la conoscenza umana. In Italia, ahimè, siamo sempre più dipendenti da tecnologie estere, e non è un bene.
Non lo è anche perché dare una formazione di qualità alla nuova generazione di allievi ufficiali è un fattore che può essere determinante per il settore, e non è affatto facile trovare persone che conoscano questo ambito. Un mondo certamente in piena evoluzione, ma che va seguito da vicino e trasmesso a chi salirà presto a bordo. Se sappiamo che la navigazione pienamente autonoma in determinati contesti, come quella oceanica, è praticamente fantascienza, in certi contesti si sta procedendo diretti. Soprattutto in Nord Europa, dove alcuni piccoli traghetti che fanno una rotta semplice sono già in acqua come prototipi ed esemplari in fase di test. Servirebbe una maggiore consapevolezza di questo trend, perché dobbiamo comprendere al meglio le sue evoluzioni per non farci trovare impreparati”.
Leonardo Parigi