La direzione di RAM per la PA. Benevolo: “Siamo sulla strada giusta”

Un piano da rispettare e un progetto più ampio da portare a compimento. Digitalizzare il mondo dei trasporti e della logistica, per rendere il Paese in linea con i programmi continentali di sviluppo. Qual è la strada che dobbiamo percorrere? “Rovesciamo il tema: cosa è cambiato? Nel senso che se prima ragionavamo sul dover digitalizzare la logistica, ora dobbiamo rendere pratiche delle normative”, risponde Francesco Benevolo, Direttore di RAM – Logistica Infrastrutture e Trasporti, la società in-house del MIT. “L’esperienza della piattaforma logistica nazionale digitale, cioè Uirnet, nasceva da una buona idea di digitalizzazione. Un progetto difficile, complesso. Significava rendere anche trasparenti dei processi gestionali su cui non è automatico rendere disponibili e condivisibili dei dati anche sensibili. Ora è diventato un obbligo, però. Stanno per uscire i regolamenti attuativi della norma 1056 del 2020 relativa al documento digitale di trasporto eFTI, mentre la normativa Nis2 ci pone la fine del 2024 come termine ultimo per digitalizzare la maggior parte dei processi burocratici attualmente in essere”.

“Quello che era un processo spontaneo di efficientamento, diventa anche per la PA un percorso obbligato. Sappiamo che oggi non dobbiamo creare la piattaforma, ma dobbiamo eseguire quello che c’è scritto nelle normative europee. Cosa manca ancora? Certamente un po’ di cultura di scambio di dati e di informazioni, ma in realtà siamo abbastanza in linea con il programma complessivo. Il gap da colmare è trovare l’attore che spinga, su cui però il governo sta lavorando bene. I famosi oltre 250 milioni di euro del PNRR saranno sicuramente di grande aiuto, però in un tessuto in cui gli aeroporti hanno già le loro piattaforme, e già molte Autorità di Sistema portuale detengono un PCS, ciò che serve adesso è uno scatto preciso per mettere insieme le varie componenti della catena”.

Eppure mancano meno di una ventina di mesi, e molti enti appaiono indietro sul cronoprogramma. Cosa si può fare per agevolarli nel percorso, per supportarli adeguatamente? “La tecnologia c’è e ci consente di fare qualsiasi cosa. Le normative sono stringenti, dobbiamo pian piano arrivare al dunque con una direzione d’orchestra perché tutti i soggetti dialoghino tra loro. Anche attori come la Capitaneria di Porto e l’Agenzia delle Dogane sono già avanti su questi punti, bisogna legare far sì che il processo di sviluppo digitale sia accurato e che sappia tenere insieme armonicamente tutti gli attori. Più che di settori, vediamo come siano determinati tessuti produttivi ad avere problemi.

Se penso all’autotrasporto, sono le pmi ad avere problemi. Il processo di digitalizzazione non credo tocchi determinati settori, ma incidono sicuramente le dimensioni. Se un’azienda ha una media di quattro addetti, è poco più di un negozio, e fa sicuramente molta fatica a portare avanti determinati investimenti. Quello che dobbiamo fare è cercare di coinvolgere il più possibile chi rischia a restare più indietro. Il porto di Trieste ha un PCS estremamente performante, mentre il porto di Napoli o Catania sono più indietro. Ma ci sono ragioni di tempistiche e di tessuto industriale, per cui dobbiamo fare sì che questo processo sia accessibile a tutti, semplice ed efficace”.

“Non facciamo l’errore di credere che sia l’Italia il fanalino di coda”, rimarca Benevolo. “Il nostro Paese è già a buon punto, e siamo partner di altri membri UE su progetti mirati alla digitalizzazione del settore logistico. Insieme a noi ci sono Portogallo, Francia, Finlandia e molti altri, perché è un processo che va portato avanti tutti insieme. Questo il Ministero lo sa bene, c’è una grande attenzione. Ed è per questo che, contrariamente alla classica vulgata, posso dire che siamo moderatamente ottimisti sul raggiungimento degli obiettivi prefissati”. Nessuna lacuna quindi? “Una grande l’abbiamo: la formazione. Mancano le figure-chiave della cybersecurity, mancano addetti specializzati e tecnici. Rischiamo di restare indietro, quello sì, perché non c’è ancora una cultura diffusa di formazione in questo settore, che invece è cruciale per la crescita economica e sociale”.

Leonardo Parigi