La tecnologia al servizio della sostenibilità

Con la sostenibilità diventata uno dei paradigmi del business, anche la logistica non può che adattarsi a un nuovo schema di gioco. Perché se per molto tempo la tematica ambientale è stata vista come un costo e un fastidio, oggi ci si rende conto non soltanto della sua importanza, ma anche delle sue possibilità economiche. Daniele Testi, Presidente di SOS-LOGistica: “La nostra è un’associazione no profit che opera dal 2005, per cui abbiamo visto tutti i passaggi della questione. Da una pura indifferenza all’interesse, anche grazie a una maggiore integrazione dei temi con i fattori tecnologici. Come SOS-LOGistica abbiamo sempre ragionato su come un operatore logistico che voglia fare una trasformazione del processo la sua ‘value proposition’, debba essere supportato da una governance più sostenibile. Parlando più chiaramente, è ovvio che se un operatore lavora per rinnovare il suo parco mezzi e arriva ad avere un’intera flotta di camion ibridi, che poi però si intasano nel traffico a causa di infrastrutture congestionate, quel beneficio viene eliminato, e resta solo un’etichetta. I costi di esternalità restano piuttosto elevati, ma non possiamo che considerare la catena logistica nel suo complesso, e non soltanto per i punti di ogni singolo operatore o di ogni singola azienda”.

Temi complessi se ragioniamo in ottica energetica, visto che sappiamo quanto sia spinoso il tema del cold-ironing, per restare in ambito marittimo. Oltre alle questioni puramente tecniche e ai punti interrogativi legati alla fornitura e al suo costo, il vero elefante nella stanza è: come viene generata quell’elettricità che consente alle navi di spegnere i motori? “È molto difficile ragionare in modo ampio su questi temi, anche perché viviamo in un mondo che tende a semplificare tutto. La logistica non ha rappresentatività, nessuno oltre al sistema ha una reale percezione dell’impatto economico, ambientale e sociale di ogni singola merce che viaggia su un qualunque mezzo di trasporto. Per non parlare della sua trasformazione industriale. In alcuni settori c’è anche la tendenza a nascondere il processo, perché spiegare il dettaglio di costo e di impatto non è facile per tutte le aziende”. Uscire fuori da questo contesto, andando cioè sul punto di vista del consumatore, è rischioso. “Due anni fa abbiamo aiutato il MIT (allora MIMS, ndr) con la stesura di un documento tecnico-economico per la realizzazione delle grandi opere, per dare un sostenuto dal punto di vista della sostenibilità complessiva. Il punto interessante è che all’interno del documento, la parola ‘logistica’ non era inserita. L’abbiamo scritta noi, ma perché non ne esisteva una valutazione complessiva. Paradossale, no?”.

E se la sostenibilità è diventata un benchmark, è anche vero che si rischia spesso di restare solo in superficie. “Ci si concentra solo sulla decarbonizzazione. Ma come posso parlarne e dare numeri se non ho nessuno che mi certifica l’attività svolta? Oggi che tutti vogliono essere ‘green’, il nostro lavoro è forse diventato ancora più difficile. Perché senza una visione oggettiva non possiamo avere un parametro, un controllo su ciò che avviene. Il modello del prossimo futuro, tanto più a livello energetico, sarà basato su diverse fonti e su diverse idee di approvigionamento. È dal 2017 che diciamo che ogni operatore può e deve diventare produttore di energia. Venivamo visti come dei visionari, ma oggi è un tema molto discusso e approvato, perché tutta la catena può cambiare sensibilmente il dato complessivo. A patto, però, che esistano parametri chiari per tutti”. E qui entra in campo anche il fattore tecnologico, che può essere un ingranaggio fondamentale per dare un nuovo ritmo al processo.

“La trasformazione digitale è una leva per la sostenibilità, perché per l’efficientamento energetico è necessaria una visione non-umana per gestire reti complesse. Devo conoscere e misurare per poi intervenire e migliorare. Nell’ambito dell’automazione dei terminal portuali, ad esempio, è in atto un processo di trasformazione del lavoro, che vedrà magari meno uomini in banchina e sempre più persone nelle control room. Non dico con un colpo di bacchetta magica, ma la direzione è presa. Ma oltre a questo, nel giro di poco quelle stesse persone che passano dalla gru al computer potrebbero trovarsi a gestire non solo una macchina che agisce da remoto, ma un’intelligenza artificiale. Per questo motivo la formazione è essenziale per governare il processo, e anche per renderlo più sostenibile”.

Leonardo Parigi