Il ponte della discordia

Prima di tutto, i numeri. Perché per analizzare la possibile realizzazione di un’opera ingegneristica di tale portata, occorre avere una panoramica precisa. Il primo concorso di idee internazionale per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina ha luogo nel 1969, ma solo nel 1992 viene individuata la soluzione considerata definitiva. Passano dieci anni prima che il progetto preliminare passi le approvazioni, è il 2003. Tre anni più tardi, la Società Stretto di Messina affiderà la progettazione al consorzio Eurolink, che consegna il progetto definitivo dell’opera nel 2010. Sono decenni (se non secoli, idealmente) che l’Italia guarda a un possibile collegamento strutturale fra il continente e la più grande isola del Mediterraneo. Così lontana, così vicina. I terremoti, la presenza di numerosi vulcani e molti altri problemi di base mettono forti rallentamenti all’idea progettuale, che a fasi alterne viene riproposta in sede di governo. Restando nell’ambito del tema logistico e infrastrutturale, WeBuild, a capo del consorzio Eurolink, prevede che l’opera “assicurerà un incremento della ricchezza prodotta su scala nazionale pari a €2,9 miliardi l’anno, equivalente allo 0,17% del Pil“. A fine Maggio, il Senato ha approvato la legge per la sua realizzazione, con 103 voti favorevoli, 49 contrari e 3 astenuti. Solo un primo passaggio formale, perché i lavori – stando alle dichiarazioni del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini – dovrebbero iniziare nel 2024. Sempre dal ministero vengono snocciolati i numeri: 100.000 posti di lavoro realizzati per la sua stessa creazione, con un costo di circa 14-15 miliardi di euro. Un progetto che prevede un ponte a campata unica lungo 3.300 metri (il che lo renderebbe record mondiale) con un’altezza di 399 metri delle torri, mentre saranno 65 i metri sull’altezza del mare nel suo punto centrale. E ancora: 6 corsie stradali per i veicoli e due binari ferroviari, con la possibilità di transito di oltre 6.000 veicoli all’ora e 200 treni al giorno. Stabile con venti fino a 270km/h e in grado di resistere a terremoti di magnitudo 7,5 della Scala Richter. Questo, almeno, stando al progetto del consorzio e del MIT.

Nella realizzazione di questo focus, abbiamo chiesto ad alcune delle voci intervistate un parere sull’opera. È davvero un’operazione fondamentale per lo sviluppo della logistica italiana? “C’è molta discussione, attorno a questo punto. Il gruppo di lavoro insediato dalla ministra De Micheli ha evidenziato la necessità di un collegamento stabile ma ha bocciato il progetto a una campata che il governo invece vuole rilanciare”, risponde Antonio Misiani, responsabile Sviluppo Economico, Finanze, Imprese e Infrastrutture del Partito Democratico. “Altri sollevano interrogativi che andrebbero verificati con grande attenzione sulla possibile incompatibilità del Ponte con le grandi portacontainer di ultima generazione. Nessuno ha la verità in tasca, al di là dei proclami del ministro Salvini. Sul Ponte – diciamocelo – il governo Meloni ha montato un’operazione propagandistica,: ad oggi non c’è un euro stanziato a bilancio per realizzarlo”. 

Quali sono le azioni che potrebbero essere portate avanti, anziché puntare tutto sulla costruzione di un’infrastruttura molto complessa?

“La rete viaria e ferroviaria della Calabria e della Sicilia rimangono assolutamente inadeguate e anche il collegamento con i traghetti tra Messina e Villa S. Giovanni andrebbe fortemente potenziato. In un Paese normale si partirebbe da qui. Quando la coperta è corta, bisogna selezionare con attenzione le proprietà. Destinare oltre 15 miliardi per il Ponte, come il governo intende fare, vuol dire togliere spazio a tanti altri investimenti potenzialmente più utili per il Mezzogiorno. Qualcuno dalle parti di Palazzo Chigi ha fatto un’analisi comparata prima di riprendere in mano questo dossier?”

Più aperto all’idea è Luigi Merlo, Presidente di Federlogistica: “Personalmente, sono favorevole all’opera di per sé. È un’infrastruttura strategica che può cambiare molti degli aspetti della logistica nazionale, andando anche a supportare le attività in crescita in Sicilia, una regione che sta dando prova di poter sviluppare ampi settori economici. Tuttavia, ci sono due questioni irrisolte. La prima è data dall’altezza del ponte, valutata oggi a 65 metri sul livello del mare. Mi rendo conto che modificare un progetto di questa portata possa comportare considerevoli ritardi e problemi anche di costo, ma già oggi molte navi rischierebbero di non passare con un’altezza simile. E va considerato che il progressivo alzamento dei mari non potrà che peggiorare ulteriormente il problema, perché se si lavora a un’opera ingegnieristica di questo livello, significa guardare a un orizzonte temporale molto lungo. E quindi, non possiamo non tenere in considerazione i grandi cambiamenti globali in atto”. Così invece Alessandro Pitto, Presidente di Fedespedi: “Puntare così tanto sul Ponte di Messina potrebbe essere un punto critico, perché continua a mancare una strategia ampia, nazionale e complessiva della logistica. I miliardi investiti in quest’opera potrebbero essere più compiutamente instradati verso necessità presenti, come la formazione, il personale, la tecnologia necessaria per utilizzare al meglio la nostra catena logistica. Sono investimenti molto meno visibili, ma decisamente importanti”.

Più critica la posizione di Daniele Testi, Presidente di SOS-LOGistica: “Se il Ponte sullo Stretto fosse una delle opere che si affiancano allo sviluppo delle strade, delle ferrovie e di tantissime altre opere, potrei anche essere favorevole al suo complesso. Ma se parliamo solo del Ponte e delle poche opere di realizzazione concomitanti, allora è un’opera rischiosa. Al Sud c’è un bisogno enorme di logistica efficace e di infrastrutture moderne, ma non c’è alcun bisogno di simboli o cattedrali nel deserto. Prima servono tante opere facili, tra cui collegamenti realmente contemporanei tra le città siciliane e i suoi porti, una rete viaria ammodernata, sia nell’isola sia in Calabria. E poi una visione d’insieme che sia anche strategica, perché è necessaria una regia affinché i traffici non siano slegati dalle infrastrutture e dai porti”.

Leonardo Parigi