I numeri del presente e quelli del futuro. Pitto, Fedespedi: “Serve una strategia nazionale”

“Il 2023 è un anno decisamente opposto al precedente, in termini di traffici generali. E questo perché i traffici via mare stanno scontando un cambiamento repentino degli ultimi anni, di cui ancora non abbiamo visto la reale misura”. Alessandro Pitto, Presidente di Fedespedi, traccia la linea dei mesi correnti per quanto riguarda i traffici marittimi, indicando più punti sulla carta. “La manifattura occidentale stenta, sta producendo meno rispetto alla media degli anni scorsi, e i fenomeni inflattivi e di alti tassi di interesse schiacciano la domanda complessiva. Quindi le scorte nei magazzini restano abbastanza alte, mentre le vendite sono più volatili. In più, all’orizzonte vediamo già l’arrivo di tante nuove navi entrate in cantiere negli ultimi tre anni, perché è attesa una capacità complessiva di carico di 4,9 milioni di TEUs entro i prossimi due anni”. Uno scenario poco chiaro, che se da un lato riporta a una specie di normalità il costo dei noli, dopo il boom dello scorso anno, dall’altro descrive uno scenario nebuloso. “Certamente sono scomparse le situazioni di congestionamento dei porti che abbiamo visto nel 2021. Tutta questa capacità liberata, tuttavia, non correrà di pari passo alla domanda. Parlando sempre a livello globale, i dati della World Bank dicono che l’offerta andrà a crescere del 12% circa nel 2024, mentre la domanda solo dell’1% nel 2023, e del 7 o 8% l’anno successivo. Tutti gli operatori che lavorano sul traffico contenitori hanno potuto beneficiare di un ampio margine lo scorso anno, e avranno le spalle larghe per sopportare un anno di margini inferiori. Ma il problema è la lentezza di sviluppo della domanda complessiva”. 

La geopolitica e le condizioni di tensioni internazionali tornano a giocare un ruolo fondamentale. Non solo sull’Europa centrale, ma anche rendendo il Mediterraneo sempre più cruciale, anche se con mare agitato. “Ci sono due livelli di analisi. Uno macroeconomico, che ci dice che le attuali condizioni di inflazione e di tassi d’interesse alti pongono più di un quesito sulla tenuta dell’economia mediterranea. Veniamo da anni in cui il costo del denaro era prossimo allo zero, mentre oggi i tassi di interesse pesano inevitabilmente anche sugli investimenti. Ma il secondo livello riguarda più specificatamente il nostro settore. Nei momenti di crisi abbiamo assistito ad acquisizioni importanti e fusioni, alleanze strategiche. Ora appare tutto sospeso, anche se è chiaro che i grandi player come MSC e Maersk stanno conducendo operazioni specifiche. Se da Ginevra si guarda a un forte ampliamento della flotta, a Copenhagen si punta a investire in settori della logistica che possano avere una maggiore integrazione con il traffico marittimo, proprio per evitare di “scottarsi” come in passato. Sempre su questi temi, siamo ancora in attesa di cosa deciderà Bruxelles in fatto di conferma o meno dell’esenzione dalla normativa antitrust. È possibile che l’alleanza tra i colossi sia saltata perché ci si aspetti una maglia più stretta da parte dell’Unione Europea, che quindi porterebbe i grandi operatori a svilupparsi in autonomia. Una partita tutta da giocare”.

E il Mediterraneo è al centro. “Sì, il suo ruolo è sempre più determinante. Qui si incrociano vari livelli di traffici, che arrivano sulle coste del nostro mare o che qui passano verso il North Range. Ma sta di fatto che l’area MED non solo non ha perso importanza, ma anzi ne ha acquistata ancora. E poi, non possiamo guardare a questi temi come puro esercizio di stile sullo shipping. Prendiamo in considerazione i tassi di crescita demografica africani, che raccontano un continente che dovrebbe crescere del 74% entro il 2050, mentre l’Europa vedrebbe una diminuzione del 5% della sua popolazione. È inevitabile parlare di migrazioni di massa, ma è anche un’enorme occasione per sviluppare il traffico intra-mediterraneo, liberando spazi e allargando il contesto. Oggi l’Africa partecipa al traffico mondiale container solo per il 4%, e i margini di crescita sono evidenti”.

L’Italia è l’eterna incompiuta, come piattaforma logistica? “Secondo me è improprio parlare di questa visione. Non vedo perché dovremmo trasformarci in una piattaforma, visto che la nostra più grande possibilità è quella di far crescere la nostra industria, grazie alla logistica. Il nostro settore è una leva, non è un fine. Prendiamo gli investimenti in atto: se da un lato siamo molto felici di vedere finalmente lavori in corso, o quasi ultimati, su punti come il Terzo Valico, la Diga di Genova e il TAV, insieme a tutti gli investimenti sul settore ferroviario e viario toccati dal PNRR, è pur vero che storicamente facciamo una grande fatica a realizzare le infrastrutture. Puntare così tanto sul Ponte di Messina potrebbe essere un punto critico, perché continua a mancare una strategia ampia, nazionale e complessiva della logistica. I miliardi investiti in quest’opera potrebbero essere più compiutamente instradati verso necessità presenti, come la formazione, il personale, la tecnologia necessaria per utilizzare al meglio la nostra catena logistica. Sono investimenti molto meno visibili, ma decisamente importanti”.

Leonardo Parigi