Il periodo post-pandemico ha portato in Italia una quantità enorme di fondi economici, tradotti poi dall’allora Governo Draghi nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Fondi che sono stati tradotti, in larga parte, nella costruzione e nell’ammodernamento delle infrastrutture e degli impianti industriali su larga scala, che nei porti hanno trovato la loro naturale collocazione. La difficile congiuntura economica a seguito dell’invasione russa in Ucraina e l’inflazione hanno in parte bloccato la ripresa, anche se le normative internazionali ed europee per la transizione energetica hanno rimodulato una parte di quegli stessi investimenti.
Alla foce di tutte queste dinamiche, oggi l’Italia e l’Europa si trovano in una complessa situazione politica ed economica. Ma la transizione ecologica non aspetta, e così gli scali europei guardano al futuro attraverso nuove forme di creazione del valore. “I porti devono entrare in un percorso di economia circolare energetico”, afferma Zeno D’Agostino, alla guida dell’Autorità di Sistema Portuale di Trieste, e anche Presidente di ESPO, la European Sea Ports Organisation. “Gli scali europei non possono più permettersi solo di consumare enormi quantità di energia, per dare vita ai processi industriali ed economici relativi. Devono produrre energia. Ma se questo assunto sembra facile, in realtà nasconde tempistiche e percorsi tutt’altro che semplici e rapidi, anche perché ogni porto ha delle sue particolarità e caratteristiche. Pensiamo soprattutto agli spazi che servono ai porti, anche considerandoli in senso più lato. Che in Italia, ad esempio, sono molto risicati nella maggior parte dei casi, perché sono porti inurbati e quindi a ridosso delle città e delle attività industriali”.
“Se vogliamo ragionare sulla produzione energetica all’interno dei porti, e più largamente anche di una sua revisione complessiva sulle attività che vi si svolgono, non possiamo non considerare che gli scali debbano necessariamente aprirsi su nuovi territori. È necessario ad esempio che godano di maggiore capacità di spazio per la produzione di energia eolica e fotovoltaica, che possano creare siti di stoccaggio e nuovi impianti. Ed è un tema che tocca necessariamente anche il discorso della relazione fra porto e città, perché servirà sempre di più un’ottica di ampia pianificazione urbanistica che inglobi le due parti.
Come si posiziona l’Italia in questo quadro? “L’Europa è sempre un po’ più avanti, anche se alcuni porti del Nord partono da posizioni più arretrate. La pubblicazione del report “The New Energy Landscape” di ESPO, lo scorso Maggio, affrontava il tema dell’impegno dei porti europei circa la questione ambientale ed energetica. Numerosi scali settentrionali, che sono leader dei traffici merci, si basano su economie di regime fossile, e devono fare un percorso più complesso anche in termini di riallocazione degli occupati in determinati terminal.
Sarebbe necessario avere un coordinamento europeo sul funzionamento complessivo del settore e sul posizionamento strategico dei porti, ma sappiamo che è molto difficile vedere un dialogo partecipato dalle varie nazioni su questi temi, proprio perché esistono sensibilità diverse. Abbiamo visto come ad esempio ci si sia mossi in maniera univoca sul tema dell’energia negli ultimi mesi, anche se il nostro Paese ha portato avanti delle politiche positive in questo senso, grazie anche alla nostra posizione strategica”.
Leonardo Parigi