Super e Megayacht, mercato a gonfie vele

Nuove grandi linee, nuovi materiali, una nuova generazione di armatori. Il mercato dei megayacht si presenta nella nuova stagione dei saloni nautici con grande intraprendenza. Merito delle aziende che hanno fatto dell’eccellenza un mantra, e degli artigiani specializzati che ne curano ogni dettaglio. Ma anche di un frangente storico particolare, che vede da una parte una grave instabilità mondiale, e dall’altra una crescita quasi senza precedenti del comparto yachting. «Sul momento commerciale non ci sono profonde analisi da fare: va molto bene, gli order-book dei cantieri sono pieni per anni, c’è lavoro e c’è sviluppo», conferma Lorenzo Pollicardo, Direttore Tecnico e Ambientale di SYBAss, l’associazione dei costruttori di superyacht che annovera tra i soci nomi come Feadship, Lürssen, Oceanco, Silver Yachts, Sanlorenzo, Benetti e Turquoise Yachts. 

Pollicardo
Lorenzo Pollicardo

«Alcuni cantieri hanno lavoro fino addirittura al 2027, il che genera chiaramente un ritorno economico e occupazionale notevole. I rischi oggi sono forse più legati all’opinione pubblica. Storicamente, purtroppo, il segmento dei Super e dei Megayacht subisce una strumentalizzazione pubblica dettata da stereotipi. Sempre più osserviamo come – in determinati Paesi, tra cui il nostro – il possesso di una barca si traduca in una “caccia al ricco”. Si tratta, è il caso di dirlo, di una visione miope e superficiale. Sono decine di migliaia gli addetti altamente specializzati che vengono impiegati nella creazione artistica e industriale di barche extralusso, i cui proprietari appartengono oggi ad una porzione della società economica  molto diversa dal passato». 

Cosa è cambiato e come, rispetto agli armatori di dieci, venti o trenta anni fa? «Prima di tutto la loro provenienza. Molti di essi provengono da luoghi che fino a poco tempo fa non esprimevano un valore economico così ampio, ma soprattutto dobbiamo considerare che i manager del settore high-tech hanno soppiantato in buona parte gli armatori del passato, che venivano prevalentemente dal mondo finanziario. Questo cambiamento “culturale” si traduce in diversi fattori: una maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale, un più forte gusto sul design, e un’età media degli acquirenti notevolmente più bassa». 

I compratori russi sono destinati a calare, per ovvie ragioni legate alla geopolitica e alle sanzioni. «Ma la loro carenza, peraltro marginale, è già stata colmata da una maggior presenza di acquirenti statunitensi», conferma Pollicardo. «Anche sulla parte di chartering non ci sono state particolari flessioni, neanche in aree geografiche dove si temeva di più questa tendenza, come nella Sardegna settentrionale. La stagione è stata comunque positiva, segno anche questo del fatto che i grandi patrimoni siano oggi in zone dove prima non erano così numerosi». Il mercato italiano sta avendo una risposta estremamente positiva alla pandemia, come già sottolineato. E c’è un ritorno al diporto, come modello di vita e di business.

«Se prima anche la cultura lavorativa imponeva certi ritmi, è chiaro che oggi ci sono le condizioni per vivere la barca anche come unità quasi abitativa o lavorativa. Parliamo di scafi di grande capienza e comodità, per cui un armatore può serenamente lavorare da bordo tramite uno smart-working totalmente integrato e perfettamente operativo. Qui si aprono nuovi temi, tra cui un alto livello di cyber-security a bordo, per preservare i dati di bordo e a bordo». I tre pilastri dell’industria yachting sono rappresentati da tre valori, stando a quanto rileva Pollicardo. Un notevole valore di indotto economico, un forte indotto occupazionale e un valore aggiunto sulla riduzione dell’impatto ambientale. «I cantieri e le tecnologie sono pronti per dare una grande spinta nella direzione della riduzione d’impatto, ma siamo già all’avanguardia su molti temi. Il punto cruciale è che poi questi risultati vanno portati al pubblico raccontando davvero che cosa rappresenta il settore yachting, troppo spesso demonizzato e non sostenuto da ampie politiche di sviluppo».

Leonardo Parigi