Gli impianti portuali per la protezione dell’ambiente marino

Simona Giovagnoni

Il D.Lgs. 197/2021 che ha sostituito il D.Lgs.182/2003 ha fatto sorgere molte perplessità sulla corretta interpretazione di alcuni articoli apparsi fin da subito di difficile applicazione e si spera che possano a breve essere superate dai chiarimenti del MITE e del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto per quanto di competenza.  Stella polare della nuova legge è l’obiettivo “della protezione dell’ambiente marino dagli effetti negativi degli scarichi dei rifiuti delle navi che utilizzano porti situati nel territorio dello Stato, nonché di garantire il buon funzionamento del traffico marittimo migliorando la disponibilità e l’uso di adeguati impianti portuali di raccolta dei rifiuti e il conferimento dei rifiuti stessi presso tali impianti”. Gli impianti portuali, strutture indispensabili nella lotta all’inquinamento marino, devono essere presenti in ogni Porto dello Stato e rientrano ex art. 1 c. 2 lett.7 e) del Regolamento (UE) n. 352/2017 tra i servizi portuali con obblighi di servizio pubblico. Il servizio di ritiro dei rifiuti dalle navi è di pubblica utilità il che comporta obblighi ben specifici tipici dei SIEG quali la continuità (h.24) senza interruzioni, l’universalità, la qualità che richiede una formazione specifica del personale e attrezzature adeguate per essere funzionale all’interesse dell’intera comunità portuale.

Del resto è proprio il Regolamento n. 352/2017 a valorizzare il principio che l’accesso al mercato dei servizi portuali, compreso quello dei rifiuti delle navi, deve avvenire in presenza di specifici requisiti come il rispetto di standard di qualità e di sicurezza, l’adozione di un sistema tariffario trasparente (art. 8 comma 2 del D.lgs 197/2021); i criteri di affidamento devono essere trasparenti, obiettivi, non discriminatori, proporzionati e pertinenti alla categoria e alla natura del servizio. Rientrando nella categoria dei SIEG il legislatore italiano ha individuato all’art. 6 c.10 della L. 84/94 la procedura che meglio garantisce e tutela l’acceso alla concorrenza in quella ad evidenza pubblica secondo quanto previsto dal D.lgs n.50/2016, come richiama espressamente l’art. 4 comma 7 del D.lgs 197/2021 e il suo Allegato 4. L’orientamento stesso dell’Unione Europea propende per una concorrenza “regolamentata” nella quale deve sussistere da un lato la possibilità di accesso a più operatori che solo una procedura aperta assicura e dall’altro la certezza di un servizio che sia efficiente per garantire l’interesse pubblico. Ecco perché il sistema della concessione è quello che meglio risponde alla tutela dei diversi interessi che convergono sul servizio rifiuti: quello della tutela dell’ambiente, della concorrenza, del pubblico interesse che il sistema sia efficiente ed economico. Significativa è a tal fine anche la pronuncia dell’ANAC (Delib. n. 108 del 28 ottobre 2015) che sulla procedura per l’affidamento del servizio di raccolta e stoccaggio dei rifiuti provenienti dalle navi si è espressa in termini chiari: “– una concessione rilasciata ai sensi dell’art. 36 del Codice della Navigazione non esaurisce i suoi effetti nella sola occupazione e uso dell’area, ma è strettamente collegata allo svolgimento di un servizio che l’Autorità Portuale (oggi AdSP) dovrebbe svolgere attraverso l’affidamento di appalto o concessione di servizi, da affidare attraverso procedura di evidenza pubblica secondo le disposizioni del D.lgs 163/2006 (oggi D.gls 50/2016);

L’esercizio del servizio di raccolta rifiuti è strettamente connesso con la concessione demaniale marittima indispensabile per poterlo svolgere; come ricorda l’ANAC “alle concessioni di beni pubblici di rilevanza economica (e, tra queste, sono specificamente ricomprese le concessioni demaniali marittime), poiché idonee a fornire una situazione di guadagno a soggetti operanti nel libero mercato, devono applicarsi i principi discendenti dall’art. 81 del Trattato UE e dalle Direttive comunitarie in materia di appalti, quali quelli della loro necessaria attribuzione mediante procedure concorsuali, trasparenti, non discriminatorie, nonché tali da assicurare la parità di trattamento ai partecipanti (TAR Campania, Napoli, VII, 3828/2009. In tal senso anche la formulazione del sistema tariffario voluta dal legislatore al c. 2 lett.a) dell’art. 8 “sistema di recupero dei costi” che può trovare il proprio fondamento solo in un rapporto di tipo concessorio. Il legislatore ha individuato infatti nella tariffa indiretta, che viene pagata indipendentemente dal conferimento dei rifiuti agli impianti portuali, la forma per garantire il mantenimento del servizio all’interno dei porti nazionali a prescindere da loro utilizzo. Per questo il pagamento di questa tariffa indiretta, analogamente a quanto avviene per il sistema della Tari, deve necessariamente gravare in modo equo e non discriminatorio su tutte le navi, non creando privilegi a favore di certe tipologie di navi a scapito di altre, con l’inevitabile conseguenza che se la stessa venisse corrisposta solo da alcune tipologie di navi si avrebbe un’inevitabile alterazione della concorrenza non solo tra porti ma anche tra diversi armatori. Il presupposto impositivo si concretizza con tale sola potenzialità senza che sia necessario l’effettivo smaltimento dei rifiuti negli impianti.

La Tariffa è una condizione necessaria per coprire le spese sostenute per garantire un servizio essenziale per la generalità dei soggetti che beneficiano o potrebbero beneficiare del servizio stesso. Sul principio di mutualità si era già pronunciata la Giurisprudenza, (Tribunale Sassari, Sentenza n. 1348/2017 e TAR Toscana Sentenza n. 1586 del 6 novembre 2009) affermando che è legittima l’applicazione di una quota di tariffa rifiuti fissa per tutte le navi che approdano nei porti di uno Stato a prescindere all’effettivo uso degli impianti di raccolta in quanto “l’obbligo di pagare la quota fissa sussiste per il solo fatto dell’approdo al porto e non in virtù del conferimento di rifiuti al servizio di raccolta del porto stesso”. E’ un principio oggi ribadito dall’art. 12 del Regolamento (UE) n.352/2017 che stabilisce che i diritti per i servizi portuali sono fissati in modo trasparente, obiettivo e non discriminatorio e sono proporzionali al costo del servizio fornito. Se così non fosse verrebbe meno l’intera ratio del D.lgs 197/2021 ovvero garantire la disponibilità (e quindi il mantenimento) degli impianti portuali in ogni porto dello Stato quale strumento per proteggere l’ambiente marino.

Simona Giovagnoni, Segretario Generale Ansep Unitam